Inserito il 19 settembre 2019 da Carmine Calabrese in NEWS
 
 

Renzi vs Pd: Chi di spada ferisce, di spada perisce


Paolo Ferrero, ex segretario di Rifondazione comunista, nel suo blog sul fattoquotidiano.it, ha scritto: “ll Pd era un partito liberista molto prima che Renzi facesse il segretario. L’ex sindaco di Firenze ne ha accentuato il tratto confindustriale ed antisindacale ma bisognerebbe non dimenticarsi che la legge Fornero è stata fatta con Bersani segretario del Pd…” Da quest’analisi, condivisibile al 100%, si evince che le scissioni avvenute nel Pd ad opera di D’Alema e Renzi non sono state affatto determinate, come qualcuno ha voluto far credere, da una diversa visione politica su come doveva e deve essere la sinistra riformista del nuovo millennio. Quest’ultima è la stessa sia per chi è restato che per chi se n’è andato. Le divisioni sono state create solo per una mera spartizione di potere. Quando Renzi è diventato segretario dei Dem contro la “Ditta” non si è accontentato di vincere, ha voluto stravincere e invece di riconoscere il peso importante della minoranza come avrebbe fatto un vero leader, ha cercato di mortificare chi aveva perso cercando di metterli ai margini del partito, addirittura non candidando D’Alema al Parlamento in nome di una finta rottamazione( nelle sue liste come ricorderete entrò tutto il peggio della vecchia nomenklatura). Se fosse stato più lungimirante, il leader di Italia Viva, avrebbe dovuto dare allo “sconfitto” un ruolo importante se non in Italia almeno in Europa. Se avesse fatto quest’operazione quasi certamente non sarebbe stato vittima del fuoco amico e non ci sarebbe stata la scissione di Bersani e compagni. Ma si sa, chi di spada ferisce di spada perisce. Dopo qualche anno Renzi ha subito lo stesso trattamento che egli ha riservato agli ex diessini. La nuova maggioranza Zingaretti, invece di riconoscergli un ruolo di primissimo piano come era giusto, lo ha messo in un angolo sperando che stesse zitto e buono. Un errore madornale da parte del segretario Pd e di chi lo sostiene. In democrazia la fine di un leader politico non la decide la nuova classe dirigente ma l’elettorato. Elettorato che, ad esempio alle ultime elezioni politiche, ha sancito la fine della carriera politica di Massimo D’Alema.